


Limmershin is a very quaint little bird, but he knows how to tell the truth.
dal momento che non c'è più, e da tempo, quella intima serietà responsabile che sola, altro che gli Statuti, trattiene dal trattare il partito cui tanti affidano le proprie speranze come il bar della stazione di notte.
«Eh bien, mon prince, Gênes et Lucques ne sont plus que des apanages, proprietà de la famille Buonaparte. Non, je vous préviens, que si vous ne me dites pas que nous avons la guerre, si vous vous permettez encore de pallier toutes les infamies, toutes les atrocités de cet Antichrist (ma parole, j'y crois), je ne vous connais plus, vous n'êtes plus mon ami, vous n'êtes plus il mio fedelissimo servitore, comme vous dites. Ma benvenuto, benvenuto. Je vois que je vous fais peur, sedetevi e raccontate.»Così diceva nel luglio del 1805 la ben nota Anna Pavlovna Šerer, damigella d'onore e amica personale dell'imperatrice Mar'ja Feodorovna, accogliendo il grave e altolocato principe Vasilij, che era arrivato per primo al suo ricevimento. Da molti giorni Anna Pavlovna tossiva; aveva la grippe, come diceva lei, (grippe era allora una parola nuova, usata soltanto da pochi).
«The beliefs which we have most warrant for, have no safeguard to rest on, but a standing invitation to the whole world to prove them unfounded.»
«Le nostre convinzioni più giustificate non riposano su altra salvaguardia che un invito permanente a tutto il mondo di dimostrarle infondate.»
John Stuart Mill, On liberty, 1859
Se sei un giudice costituzionale
non soltanto per te non vale
la legge che al normale magistrato
impedisce, destino ingrato,
di fare dell'imputato
un lieto commensale,
ma hai anche totale la licenza
dal buon gusto, dall'intelligenza,
dall'essere di esempio per chiunque:
non stupisce, dunque,
che tu inviti a cena Sua Emittenza,
Angelino Alfano e Gianni Letta.
E nessuno mai che si permetta
di dire che parlavate di decreti,
sentenze, leggi e impunità,
invece che di donne o di reti di Kakà,
e chi lo dice è peggio che anormale,
mentre tu sei un giudice costituzionale.
Con una breve, spigliata intervista a Repubblica Debora Serracchiani, una che parla da deputata europea, non da candidata segretaria, non da candidata premier, solo da outsider molto popolare, ha fatto un gran casino. Tutti scandalizzati, tutti orripilati, tutti a trattarla da povera stronza, ragazzina che non sa quello che dice, qualunquista, superficiale, stupidina (per esempio, Cappellini sul Riformista).
Secondo me la questione non riguarda la Serracchiani in quanto tale, ma il modo di fare politica oggi per la sinistra (e il PD): si può fare politica parlando di simpatia di un candidato, criticando un linguaggio troppo difficile, indicando spudoratamente il nemico, affibbiando la qualifica di «vecchio» agli altri e di «nuovo» a se stessi?
Una prima risposta tendenziosa: certo che si può, Berlusconi lo fa da quindici anni. Ora, i toni, e soprattutto gli interessi privati che la retorica politica berlusconiana ricopre non sono paragonabili a quelli della Serracchiani (e infatti fino a cinque minuti fa lei era una specie di Santa Giovanna D’Arco, era quella-che-aveva-battuto-Darth-Vader-Silvio-Berlusconi). Ma la semplificazione della visione politica che sottende a risposte come «ho scelto di stare dalla parte di Franceschini perché è il più simpatico» non è tanto lontana da quella che è sempre stata indicata, con un misto molto rivelatore di ammirazione per la sfrontatezza e di disgusto elitario, come la grande forza comunicativa di Berlusconi: parlare alla gente in termini super-comprensibili, rifacendosi a categorie extra-politiche, puntando su un’emotività quasi infantile.
E infatti la reazione dei vari Pollastrini, Zingaretti, Errani, Bindi ecc ecc è una specie di rivolta dei benpensanti (ancora prima che dei benpoliticanti) a qualcuno che si permette di trascinare a un livello ridicolo la discussione politica – e di nuovo, tralasciamo di analizzare la questione di quali interessi e manovre reali siano all’opera al di sotto delle dichiarazioni pubbliche. «Anche Totò e Tina Pica erano simpatici, sarebbero stati un ticket straordinario», «sapete perché preferisco Bersani? Perché sa cantare...», «I suoi argomenti mi sono sembrati un po' banali, scontati e certamente non quelli di cui c'è bisogno in questo momento».
Nell’intervista di Maltese (e anche qui ci sarebbe da analizzare l’impatto del genere giornalistico specifico sul tono e il taglio del discorso), Serracchiani si è permessa di fare una cosa che nessuno ha mai visto né sentito fare a nessun politico di sinistra: parlare di politica come si fa normalmente tra colleghi alla macchinetta del caffè, tra amici in pizzeria, tra genitori al parco mentre i bambini giocano. In un certo senso, Veltroni aveva inaugurato questa modalità comunicativa intima, sdrammatizzante, leggera: solo che lui parlava così di figurine Panini, musicisti jazz e film d’autore, mica delle candidature interne, delle divergenze politiche, delle prospettive elettorali.
Mi sembra che il punto allora sia: si può a sinistra fare politica alla macchinetta del caffè, parlando come parlano gli elettori e non i quadri del partito, oppure no?
Non si tratta di una domanda semplice, e la risposta non è affatto banale. Molta parte del popolo della sinistra, e forse anche del popolo del PD, pensa che la politica sia una cosa seria, che i leader dovrebbero essere molto competenti, molto intelligenti, molto migliori della francamente sconsolante mediocrità (anche morale) che sembra invece imperante nella parte avversa. Molta parte di noi preferisce di gran lunga, nella propria vita e forse anche nell’urna, chi usa le posate nel modo giusto, chi ascolta, legge, guarda cose intelligenti, chi si esprime con proprietà e attenzione, chi non banalizza ma vola alto, chi non riduce a una brutale semplicità l'irriducibile complessità delle sfumature.
Ma siamo sicuri che poi, alla macchinetta del caffè, non abbiamo mai detto: «Come si fa a menarla ancora con “piattaforma programmatica”?!», «Questo Franceschini è proprio simpatico» (oppure, «per niente simpatico»), «Basta, finché c’è lì D’Alema non se ne uscirà mai fuori» eccetera eccetera eccetera? Siamo sicuri che sia un modo di parlare di politica da poveri stronzi, che giustamente non devono essere presi in considerazione da chi, ben più preparato e bravo, ha in mano i destini della nazione? Siamo sicuri che anche a sinistra la cosa migliore è non disturbare il manovratore?