martedì 18 maggio 2010

senza titolo


In realtà la guerra, ultima fase del fascismo trionfante, ha agito su di noi più profondamente di quanto risulti a prima vista. La guerra ha distolto materialmente gli uomini dalle loro abitudini, li ha costretti a prendere atto con le mani e con gli occhi dei pericoli che minacciano i presupposti di ogni vita individuale, li ha persuasi che non c'è possibilità di salvezza nella neutralità e nell'isolamento.
Nei più deboli questa violenza ha agito come una rottura degli schemi esteriori in cui vivevano: sarà la «generazione perduta » che ha visto infrante le proprie «carriere»; nei più forti ha portato una massa di materiali grezzi, di nuovi dati su cui crescerà la nuova esperienza.
Senza la guerra io sarei rimasto un intellettuale con interessi prevalentemente letterari, avrei discusso i problemi dell'ordine politico, ma soprattutto avrei cercato nella storia dell'uomo solo le ragioni di un profondo interesse, e l'incontro con una ragazza o un impulso qualunque alla fantasia avrebbero contato per me più di ogni partito o dottrina.
Altri amici, meglio disposti a sentire immediatamente il fatto politico, si erano dedicati da anni alla lotta contro il fascismo. Pur sentendomi sempre più vicino a loro, non so se mi sarei deciso a impegnarmi totalmente su quella strada: c'era in me un fondo troppo forte di gusti individuali, d'indifferenza e di spirito critico per sacrificare tutto questo a una fede collettiva.
Soltanto la guerra ha risolto la situazione, travolgendo certi ostacoli, sgombrando il terreno da molti comodi ripari e mettendomi brutalmente a contatto con un mondo inconciliabile.

Credo che per la maggior parte dei miei coetanei questo passaggio sia stato naturale: la corsa verso la politica è un fenomeno che ho constatato in molti dei migliori, simile a quello che avvenne in Germania quando si esaurì l'ultima generazione romantica. Fenomeni di questo genere si riproducono ogni volta che la politica cessa di essere ordinaria amministrazione e impegna tutte le forze di una società per salvarla da una grave malattia, per rispondere a un estremo pericolo. Una società moderna si basa su una grande varietà di specificazioni, ma può sussistere soltanto se conserva la possibilità di abolirle a un certo momento per sacrificare tutto a un'unica esigenza rivoluzionaria.
È questo il senso morale, non tecnico, della mobilitazione: una gioventù che non si conserva «disponibile», che si perde completamente nelle varie tecniche, è compromessa. A un certo momento gli intellettuali devono essere capaci di trasferire la loro esperienza sul terreno dell'utilità comune, ciascuno deve sapere prendere il suo posto in una organizzazione di combattimento.

Questo vale soprattutto per l'Italia. Parlo dell'Italia non perché mi stia più a cuore della Germania o dell'America, ma perché gli italiani sono la parte del genere umano con cui mi trovo naturalmente a contatto e su cui posso agire più facilmente. Gli italiani sono un popolo fiacco, profondamente corrotto dalla sua storia recente, sempre sul punto di cedere a una viltà o a una debolezza. Ma essi continuano a esprimere minoranze rivoluzionarie di prim'ordine: filosofi e operai che sono all'avanguardia d'Europa.
L'Italia è nata dal pensiero di pochi intellettuali: il Risorgimento, unico episodio della nostra storia politica, è stato lo sforzo di altre minoranze per restituire all'Europa un popolo di africani e di levantini. Oggi in nessuna nazione civile il distacco fra le possibilità vitali e la condizione attuale è così grande: tocca a noi di colmare questo distacco e di dichiarare lo stato d'emergenza.
Musicisti e scrittori dobbiamo rinunciare ai nostri privilegi per contribuire alla liberazione di tutti.
Contrariamente a quanto afferma una frase celebre, le rivoluzioni riescono quando le preparano i poeti e i pittori, purché i poeti e i pittori sappiano quale deve essere la loro parte. Vent'anni fa la confusione dominante poteva far prendere sul serio l'impresa di Fiume. Oggi sono riaperte agli italiani tutte le possibilità del Risorgimento: nessun gesto è inutile purché non sia fine a se stesso.
Quanto a me, ti assicuro che l'idea di andare a fare il partigiano in questa stagione mi diverte pochissimo; non ho mai apprezzato come ora i pregi della vita civile e ho coscienza di essere un ottimo traduttore un buon diplomatico, ma secondo ogni probabilità un mediocre partigiano. Tuttavia è l’unica possibilità aperta e l’accolgo.

Se non dovessi tornare non mostratevi inconsolabili. Una delle poche certezze acquistate nella mia esperienza e che non ci sono individui insostituibili e perdite irreparabili, Un uomo vivo trova sempre ragioni sufficienti di gioia negli altri uomini vivi, e tu che sei giovane e vitale hai il dovere di lasciare che morti seppelliscano i morti.
Anche per questo ho scritto a tè e ho parlato di cose che forse ti sembrano ora meno evidenti ma che in definitiva contano più delle altre. Mi sarebbe stato difficile rivolgere la stessa esortazione alla mamma e agli zii, e il pensiero della loro angoscia è la più grave preoccupazione che abbia in questo momento. Non posso fermarmi su una difficile materia sentimentale, ma voglio che conoscano la mia gratitudine: il loro affetto e la.loro presenza sono stati uno dei fattori positivi principali nella mia vita.
Un’altra grande ragione di felicità è stata l'amicizia, la possibilità di vincere la solitudine istituendo sinceri rapporti fra gli uomini.
Gli amici che mi sono stati più vicini, Kamenetzki, Balbo, qual cuna delle ragazze che ho amato, dividono con voi questi sereni pensieri e mi assicurano di non avere trascorso inutilmente questi anni di giovinezza.

Giaime

venerdì 16 ottobre 2009

La democrazia vera

"Serve una riforma - dice Berlusconi - che faccia del nostro Paese una democrazia vera non soggetta al potere di un ordine che non ha legittimazione elettorale".

Qui non c'è equivoco, né interpretazione sfumata possibile: la democrazia che ha in mente Berlusconi è la dittatura del popolo (esercitata nel suo nome dal governo). Che la democrazia moderna si fondi sull'equilibrio di poteri diversi (di origine, formazione e legittimazione diversa) che devono controllarsi e agire in autonomia, non è ignorato da Berlusconi: è negato.

Una democrazia vera in senso berlusconiano non prevede che l'esecutivo sia soggetto ad altri poteri, tutto il potere essendo del popolo che lo attribuisce tutto in una volta a un solo soggetto, attraverso le elezioni (anche se, tecnicamente, è il Parlamento che ha legittimazione elettorale, non il governo - un particolare noioso su cui si preferisce sempre sorvolare, un difetto della Costituzione che risulta veniale, dato che, grazie a Dio, i deputati e i senatori della maggioranza sono oggi saldamente controllati dal capo del governo).

Il premier del mio paese asserisce pubblicamente di voler modificare la costituzione del mio paese per instaurare un regime (nel senso tecnico di assetto politico-istituzionale) che lui definisce "democratico vero" e che io (ma direi anche Montesquieu) trovo totalitario (sempre in senso tecnico, visto che il potere politico assorbe tutti gli altri, e da tutti gli altri non può essere messo in discussione).

Giusto per ricordare insieme alcune cose basilari, mi vengono in mente un certo numero di poteri (non sottoposti a consultazioni elettorali) che in una democrazia moderna controllano, influenzano, in determinate occasioni si impongono sull'esecutivo (il quale a sua volta fa lo stesso nei loro confronti, naturalmente): la magistratura e il parlamento, ovviamente, ma anche l'opinione pubblica nelle sue espressioni associative non politiche, la libera stampa e televisione, le organizzazioni e gli enti sovra-nazionali (in primis, nel caso italiano, l'Unione Europea) e il diritto internazionale, almeno nelle sue basi indiscusse (tipo, per dire, la Dichiarazione dei diritti dell'uomo).

E giusto per ricordare insieme un altra cosa basilare, Hitler è stato eletto in un paio di libere elezioni prima che instaurasse il regime nazista (arrivando al 33% dei voti nel '32). E Mussolini? Siamo sicuri che, venendo da dove veniamo, sia il caso di irridere chi si preoccupa del regime che ha in mente Berlusconi con l'argomento che il premier è stato eletto democraticamente?

(L'immagine è la scheda elettorale del 1933 per il distretto di Hesse-Darmstadt. Per vederla bene - soprattutto la prima riga - potete cliccare qui)

martedì 29 settembre 2009

Pierluigi Battista e il peso della stupidità

Dice che non si dovrebbe discutere con un cretino (la gente potrebbe non notare la differenza). Ma a volte la tentazione è irresistibile: il pezzo di Pierluigi Battista sul Corriere di ieri è un'esplosione di intelligenza di tale geometrica potenza, che non ho potuto fare a meno di condividerla con qualcuno.

Come tutti sanno, i grandi geni della letteratura mondiale sono sempre stati ingiustamente vessati e incredibilmente negletti da legioni di funzionari (grigi e oscuri) delle case editrici, ciechi di fronte alla luce sfolgorante dell'Arte e stupidamente dediti alla censura di ogni originalità. Questo, appunto, lo sanno tutti e sono passati decenni da quando Eco scrisse una famosa serie di parodie di rifiuti editoriali raccolte nel Diario minimo - vale a dire che la cosa è così ovvia e stantia che la sua stessa parodia (anzi, meta-parodia) è datata e risaputa. Ma a Pierluigi Battista sembra tutto molto fresco e interessante:
Si consiglia vivamente la lettura del «Gran rifiuto» di Mario Baudino per chi si ostina a decrittare le vicende umane come il frutto di disegni oscuri e trame inconfessabili, sottovalutando il peso dell' insipienza, della superficialità, della pura e semplice stupidità nella linea di condotta di chi deve scegliere seccamente tra un «sì» o un «no».
Ora, tutti, ma proprio tutti quelli che scrivono e non vengono pubblicati (e, nonostante le 500.000 novità all'anno in Italia, il loro numero è legione) hanno una teoria sulle ragioni di tale ingiustificabile ingiustizia.

La teoria principe, più comune, è quella cospirativa, secondo cui la casa editrice, pur non potendo negare l'assoluta rilevanza culturale e artistica dell'opera proposta, è impossibilitata a dare seguito in modo appropriato al riconoscimento del genio a causa di un complotto oscuro e terribile (poteri forti, mafie culturali, sodalizi giudaico-massonici ecc ecc).

La seconda, grande teoria, appena meno comune, è appunto quella sposata da Battista: è inutile cercare tanto lontano, il fatto è che gli editoriali sono scemi.
Nella galleria degli stupefacenti errori editoriali stilata da Baudino non colpiscono tanto le censure politiche (la «Fattoria degli animali» di Orwell) o dettate dal bigottismo moralista (dalla Lady Chatterley di Lawrence al «Lamento di Portnoy» di Philip Roth), ma quelle ispirate alla pura cecità, così imperiosa e autolesionista da cancellare persino la percezione dei propri interessi.
Segue lungo elenco di esempi di ciechi, insipienti, superficiali e puri e semplici stupidi che si sono permessi di rifiutare cose che Battista (lui sì intelligente, colto e capace di distinguere il valore letterario) avrebbe invece, naturalmente, accolto a braccia aperte:
Mandando indietro l' «Ulisse» di Joyce per la Hogarth Press, Virginia Woolf si disse «irritata da questo liceale a disagio che si gratta i foruncoli». [...] Italo Calvino, ha raccontato Cesare Cases, liquidò così «La milleduesima notte» di Joseph Roth per Einaudi: «non è roba per noi». [...] E quando Garzanti visionò il manoscritto de «L' insostenibile leggerezza dell' essere» di Milan Kundera, il verdetto fu tagliente come una mannaia: «Non voglio dei minori, e per giunta cecoslovacchi».
Mi sembra che i casi siano due:

1. Calvino, Garzanti e Woolf sono dei cretini, i libri buoni si distinguono dai libri meno buoni come un porcino da un ovolo malefico, Pierluigi Battista dovrebbe fare il direttore editoriale di Rcs, invece che il giornalista al Corriere.

2. Calvino, Garzanti e Woolf sono l'esempio lampante del fatto che scegliere i libri per una casa editrice è un affare molto diverso da scegliere il porcino più grosso da friggere. I libri buoni sono evidenti ex-post, molto meno ex-ante - se non fosse così ci sarebbe una sola casa editrice al mondo che fa tutti e solo i bei libri. E Pierluigi Battista sta benissimo dove sta, a fare il lavoro che fa.

Anzi forse starebbe meglio nel bosco a raccogliere funghi porcini invece di ovoli malefici - posto che ne sia capace.